INTERVISTA JULIE KATE MARIE (2021)Annalù

Come sei diventata un’artista?

In Accademia ho realizzato che l’Artista dovesse essere colui che sposta un confine, che crea nuove forme ricche di contenuto. Da allora ho cercato di lavorare in questo senso. L’artista pone nuove soglie, i limiti vanno continuamente oltrepassati. Sicuramente il fuoco che spinge le mie azioni va in questa direzione. Quindi ho cercato di trovare le strategie per mettere in Forma le mie visioni e subito dopo di veicolarle nel modo giusto con dei compagni di viaggio adeguati (gallerie ed altre collaborazioni).

Cosa ti piace di più del fare arte?

Adoro sporcarmi le mani, costruire i miei oggetti, dare corpo a delle visioni. Questo è ciò che amo di più: il momento in cui passo dall’idea al FARE vero e proprio. Inizio dalla sperimentazione. Ed inizio soprattutto dalla necessita’ di tradurre in forma dei contenuti. La necessita’ spinge alla ricerca di trovare le strategie giuste, i modi per dare voce all’immagine da creare. Ho sempre avuto la sensazione che avrei dovuto imparare a lavorare la maggior parte dei materiali possibile perche’ cosi avrei potuto farli poi dialogare. Con la resina che utilizzo frequentemente, la costante sfida e’ stata quella di combinare una materia cosi poco emozionale con un linguaggio espressivo che vuole essere pregno di meraviglia, di freschezza e di poesia. Tutto deve sembrare “facile”: non si deve sentire la fatica. Lavoro tantissimo in questo senso. Racconto mondi sospesi in metamorfosi e mi pongo in quell’istante di transizione fra pittura e scultura, in un terreno ibrido che mi permette di sperimentare differenti possibilità espressive.

La tua più grande ispirazione nella vita?

Il micro ed il macro cosmo insieme al concetto della metamorfosi nel mio lavoro e’ una costante ed e’ un impasto di molte cose. Quindi nella natura e dalla natura Osservo. Ascolto. Rifletto. Rielaboro. Mi interessa il momento del passaggio tra uno stato e l’altro, fra realta’ differenti e condivido un atteggiamento molto vicino alla scienza alchemica. E’ il momento di transizione che ha tutto il mio interesse ed e’ proprio quel momento che cerco di bloccare nel tempo e nello spazio attraverso la resina creando quello che io chiamo “equilibrio dinamico”.L’operazione che svolgo non è poi così lontana dalla trasmutazione di una materia in un’altra. I miei  tanti splash d’acqua, le architetture liquide, le farfalle bruciate dentro la resina raccontano un tempo espanso in cui la forma ha il valore di un mandala. Ho quindi una percezione del tempo molto dilatata perche’ nei miei tanti tentativi di fermare nella resina il suo scorrere cerco di porre l’attenzione fra cio’ che era, e cio’ che potrebbe essere.

Qual’è il tuo obiettivo?

L’obiettivo primario è di avanzare ancora di più sul lavoro: tutta la mia vita è basata “sull’esercizio”. Continuo esercizio volto a migliorare e superare gli step precedenti. Questo e’ cio’ che mi toglie il fiato e nello stesso tempo mi salva. E’ sempre una questione di spostamento di confine del noto dentro l’ignoto e per fare cio’ bisogna essere allenati. Ci sono poi una serie infinita di momenti struggenti, devastanti, angoscianti mentre lavoro e pochi – ma mi ripagano di tutto – in cui percepisco nelle mani, nel cuore e nella mente che qualcosa di ciò che ho fatto ha una energia speciale. Spero un giorno di portare questa energia all’interno di un grande Museo; questo sarebbe il mio obiettivo.